Martina Granatiero

Socio di RLSG Studio Legale, diritto societario, diritto industriale, contrattualistica, bancario e nuove tecnologie
Decentra Network Advisor

 


Il contesto normativo.

Diversamente dai servizi bancari e finanziari e dalle nozioni di strumento finanziario e di prodotto di investimento, con cui pur presentano innegabili affinità tematiche, le cripto-attività non sono oggetto di disciplina da parte del legislatore comunitario.

Difficile pensare che questo stato di fatto sia frutto di disinteresse o di inopportunità. L’esigenza di una regolamentazione di respiro transnazionale è parsa fin da subito pressoché imposta dalla natura delle tecnologie che hanno reso possibile la nascita e la diffusione delle cripto-attività e le autorità europee non hanno mai nascosto di seguire con interesse le loro dinamiche di ingresso e interazione nel mercato, nel tentativo di meglio comprendere sia il loro funzionamento sia, per quanto possibile, il loro potenziale evolutivo (e si v., ex multis, per completezza e sistematica, ESMA, Advice on ‘Initial Coin Offerings and Crypto-Assets, January 2019).

Vero è che un percorso analogo, ma al contempo più interventista è stato adottato a livello nazionale in diversi Paesi europei. La prima a dare una definizione delle Initial Coin Offering (“ICO”), ossia delle offerte sul mercato primario dei token, è stata la Svizzera, in seguito giunta anche a coniare, attraverso FINMA (l’Autorità federale svizzera di vigilanza sui mercati finanziari), i concetti sui cui si fonda la nota ripartizione delle cripto-attività in payment token, security token e utility token. Fonte: https://www.admin.ch/gov/en/start/documentation/media-releases/. Nel 2017, l’AMF (l’Autorité des marchés financiers), riprendendo sostanzialmente la tripartizione svizzera, aveva osservato come i token difficilmente potessero rientrare nelle categorie di strumenti finanziari definite dal Code Monétaire et Financier, per poi arrivare, nell’aprile 2019, a disciplinare l’offerta di token e a inserire un nuovo capitolo nel Code Monétaire et Financier, applicabile soltanto al cosiddetto jeton d’usage (i.e. all’ utility token, non qualificabile come strumento finanziario)
Fonte: www.amf-france.org/en_US/Acteurs-et-produits/Societes-cotees-et-operations-financieres/Offres-au-public-de-jetons-ICO

Nel 2018, Malta ha adottato una specifica disciplina applicabile ad alcune tipologie di token (Fonte: www.ccmalta.com/news/malta-Blockchain-crypto-legislation), mentre il Liechtenstein ha emanato il Token and Trusted Technology Service Provider Act (‘TVTG’), disciplina dedicata alle c.d. trustworthy technologies, che non manca di affrontare molti degli aspetti centrali della disciplina delle cripto-attività, introducendo standard minimi per i fornitori di servizi TT (Fonte: https://impuls-liechtenstein.li/wp-content/uploads/2019/11/950.6_04.11.2019_TVTG-english-final-version.pdf).

Certamente è stato presto chiaro alle autorità nazionali come il darsi di una disciplina in subjecta materia avrebbe potuto essere motivo di attrazione di capitali e, dunque, di risorse sempre più vitali per i mercati dei singoli Paesi.

L’Italia, da canto suo, è stata tra i primi Paesi in Europa, con il Decreto Semplificazioni (D.L. 135/2018), a essere dotata di norme specifiche dedicate a DLT e smart contract, sebbene queste (art. 8-ter) si esauriscono su un piano meramente definitorio. Per il resto, cavalcando forse anche il dato di una definizione ampia di “prodotti finanziari”, qual è quella dell’art. 1, comma 1, lettera u) del TUF – che comprende, in un rapporto di species a genus, gli “strumenti finanziari”, oltreché “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” e nella quale possono talvolta essere comprese alcune tipologie di token – a gennaio 2020 si è giunti alla pubblicazione di un “Rapporto finale”, con cui la Consob ha tratto le conclusioni della consultazione pubblica chiusasi il 5 giugno 2019, confermando l’approccio anticipato nel suo “Documento per la discussione” del 19 marzo 2019, avente ad oggetto “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”. Un approccio che si propone di disciplinare unicamente le offerte di token non assimilabili agli strumenti finanziari, i cd. utility token, ossia di quei crypto-asset che incorporano il diritto a una prestazione futura, sia essa un bene o un servizio che l’emittente ha già realizzato o promette di realizzare.

Il Digital Finance Package

Le recenti iniziative a livello europeo sembrano, tuttavia, confermare l’attitudine iniziale verso una disciplina di più ampio respiro, destinata forse a limitare, almeno in parte, gli interventi dei legislatori nazionali. Con l’adozione del Digital Finance Package del 24 settembre scorso, la Commissione europea si appresta, infatti, a rivendicare un ruolo protagonista, avendo optato rispetto ai crypto-asset per lo strumento normativo del “regolamento”: una volta superato l’iter di approvazione, la relativa normativa sarà, infatti, direttamente applicabile in tutta l’UE a tutti gli Stati membri, anche prioritariamente a eventuali diverse discipline difformi nelle aree sovrapponibili, non richiedendo a tal fine normativa nazionale di implementazione e scavalcando anzi ogni eventuale disciplina domestica degli Stati Membri che disciplini gli stessi fenomeni.
In concreto, il progetto comunitario, che si pone senza soluzione di continuità nel solco tracciato dal Piano di Azione del 2018 (si v. FinTech Action plan: for a more competitive and innovative European financial sector, marzo 2018, in https://ec.europa.eu/info/publications/180308-action-plan-fintech_en), si pone come macro-obiettivi:

1) di rimuovere la frammentazione nella regolamentazione del mercato unico digitale, attraverso la realizzazione di un sistema di pagamenti al dettaglio completamente integrato nell’UE, in linea di continuità con quanto avvenuto con la Seconda Direttiva sui servizi di pagamento (PSD2), destinata a essere riesaminata ed eventualmente integrata nel quarto trimestre del 2021, coerentemente all’attuazione delle politiche della strategia dei pagamenti al dettaglio; 2) di adattare il framework regolamentare europeo per favorire l’innovazione digitale; 3) di promuovere la diffusione, la condivisione e l’interoperabilità dei dati e, infine, 4) di indirizzare i rischi e le sfide della trasformazione digitale anche attraverso il rafforzamento della resilienza del sistema finanziario.

Sul fronte delle proposte di legge, la Commissione vara:

una (prima) bozza di regolamento a livello europeo dei “cripto-asset”, la Proposal for a regulation of the european parliament and of the council on Markets in Crypto-assets, and amending Directive (EU) 2019/1937, (COM(2020) 593 final-2020/0265(COD) (di seguito, “MiCA”);
una serie di iniziative aventi ad oggetto la c.d. “la resilienza digitale”, declinate nella Digital Operational Resilience Act (“DORA”), muovendo dal presupposto che “un mercato unico digitale innovativo per i finanziamenti creerà benefici per i cittadini europei e sarà fondamentale per la ripresa economica dell’Europa, offrendo prodotti finanziari migliori per i consumatori e aprendo nuovi canali di finanziamento per le imprese” (Fonte: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=COM:2020:595:FIN&from=EN).
L’obiettivo è, dunque, quello di offrire ai consumatori la possibilità di scegliere con sempre maggiore sicurezza servizi finanziari digitali, consapevoli del loro porsi come volano fondamentale per sostenere la ripresa economica dell’UE e delle aziende che vi operano.

Il MiCA: obiettivi e ambito di applicazione

Mentre il DORA si concentra essenzialmente sulle salvaguardie necessarie a mitigare i rischi derivanti da cyber-attacchi e altre minacce correlate, il MiCA – più specificamente oggetto di analisi del presente scritto – vede la luce, da un lato, al fine di dare impulso all’innovazione e, dall’altro, allo scopo di preservare la stabilità finanziaria e garantire tutele agli investitori, attraverso regole che forniscano chiarezza e certezza del diritto agli emittenti e ai fornitori di crypto-asset.

Va subito messo in rilievo come al MiCA si colleghi un’altra differente proposta di legge, la Proposal for a REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on a pilot regime for market infrastructures based on distributed ledger technology – (COM/2020/594 final), (“Pilot Regime”) (Fonte: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:52020PC0594), accompagnata a sua volta da un Commission Staff Working Document Impact Assessment (SWD/2020/201 final).
Inoltre, parallelamente a tali interventi troviamo, altresì, la Proposal For A Directive Of The European Parliament And Of The Council Amending Directives 2006/43/EC, 2009/65/EC, 2009/138/EU, 2011/61/EU, EU/2013/36, 2014/65/EU, (EU) 2015/2366 and EU/2016/2341- (COM/2020/596 final), destinata a modificare la normativa finanziaria europea, al fine di coordinarla con il Digital Finance Package, intervenendo, ad esempio, proprio sulla definizione di “strumento finanziario” di cui alla Direttiva 2014/65/EU, attraverso un’apertura alle fattispecie emesse tramite l’utilizzo di tecnologie DLT. Vero è che l’attività di “adeguamento” dell’intera normativa sembra ancora lontana dal trovare un punto di approdo e che il legislatore ha optato per un regime di sperimentazione temporalmente limitato (il cosiddetto sandbox), con riserva di procedere solo in futuro a quegli interventi di armonizzazione sulla base del dato di esperienza nel frattempo maturato. Nondimeno, il percorso è certamente segnato e si pone come inarrestabile.

Le ragioni della descritta frammentarietà sono presto dette. Il piano d’azione FinTech della CE, pubblicato nel marzo 2018, aveva dato mandato all’Autorità bancaria europea (EBA) e all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) di esaminare l’adeguatezza e l’applicabilità dell’attuale quadro normativo dell’UE in materia di servizi finanziari ai cripto-assets. Ne era emerso che la maggior parte dei cripto-asset non rientravano nell’ambito di applicazione della legislazione dell’UE sui servizi finanziari e, quindi, non erano soggetti alle disposizioni sulla tutela dei consumatori e degli investitori e sull’integrità del mercato, nonostante le esigenze di protezione fossero per molta parte sovrapponibili.

Il MiCA, quindi, è frutto dell’evoluzione di elaborazioni già note di ESMA (cfr. Advice on ‘Initial Coin Offerings and Crypto-Assets’, cit.) ed EBA (Report with advice on crypto-assets, 2019), funzionali a traghettare verso un nuovo quadro normativo. Un quadro, tuttavia, composito, che possiamo immaginare come rappresentato da cerchi tematici, con aree esclusive e altre destinati inevitabilmente a sovrapporsi. Non a caso, come anticipato, la stessa Consob si era già mossa proprio in quella direzione, al fine di tentare di presidiare con una normativa nazionale la disciplina dei cosiddetti utility token, viste le enormi difficoltà a tentare di elaborare un’opera di adeguamento della disciplina sugli “strumenti finanziari” per il loro contraltare versione cripto (i cosiddetti security tokens), specie in mancanza di un coordinamento da parte del legislatore UE.

Come si ricava dalla lettura dei nove Titoli in cui si articola, la disciplina del MiCA si propone di normare (i) i requisiti di trasparenza e pubblicità in relazione all’emissione e ammissione alla negoziazione dei token; (ii) il regime autorizzativo e di vigilanza su emittenti e prestatori; (iii) le tutele riservate ai consumatori in relazione all’emissione, negoziazione e custodia dei crypto-assets e, infine, (iv) le misure destinate a prevenire fenomeni di market abuse e ad assicurare l’integrità dei mercati in cui vengono negoziati i crypto-assets.

Relativamente al perimetro (attuale) di applicazione, fermo che il criterio di fondo è rappresentato dal contenuto di uno strumento e non dalla tecnologia utilizzata per la sua emissione, il MiCA è destinato a regolare tre specifiche sottocategorie di cripto-assets diverse dagli strumenti finanziari ai sensi della MiFID e, dunque, con esclusione di tutte le fattispecie oggi comunemente indicate con la dizione di security token, ossia:

gli utility token, che vengono emessi con scopi non finanziari per fornire digitalmente l’accesso a un’applicazione, servizi o risorse disponibili sulle reti DLT e sono appunto definiti come «a type of crypto-asset which is intended to provide digital access to a good or service, available on DLT, and is only accepted by the issuer of that token»;
gli asset-referenced token (“ART”), che possono avere come sottostante diverse valute fiat, ma anche una o più commodity ovvero uno o più crypto-asset o, ancora, a un paniere di tali attività, e che fungono da mezzo di pagamento per l’acquisto di beni e servizi e da riserva di valore e che vengono definiti come «a type of crypto-asset that purports to maintain a stable value by referring to the value of several fiat currencies that are legal tender, one or several commodities or one or several crypto-assets, or a combination of such assets»;
gli e-money token (“EMT”), con un valore stabile basato su una sola valuta fiat e che presentano molti punti di contatto con la moneta elettronica, come definita nella Direttiva UE 2009/110/CE, descritte come «a type of crypto-asset the main purpose of which is to be used as a means of exchange and that purports to maintain a stable value by referring to the value of a fiat currency that is legal tender».
L’assenza dei security token non deve stupire, essendo conferma di quell’approccio interpretativo, già piuttosto maturo, secondo cui ove la categoria presenti tutte le caratteristiche necessarie alla sua riconducibilità alla disciplina dei servizi finanziari, poco importa il fatto che il riconosciuto strumento finanziario sia rappresentato attraverso una cripto-attività.
Piuttosto, a meritare attenzione è la centralità riconosciuta dal MiCA agli stablecoin, nella loro duplice accezione di ART (di cui al Titolo III) e di EMT (di cui al Titolo IV), che, in uno con la disciplina che ne regola l’emissione e l’ammissione alla negoziazione, fa chiaramente emergere come la Commissione europea voglia provare ad arginare eventuali tentativi derivanti dall’uso di queste “monete digitali” potenzialmente capaci di minare i principi della sovranità monetaria dell’UE e la stessa stabilità finanziaria.

Di qui, l’opzione verso una disciplina loro dedicata, capace tuttavia di tenere conto della loro vicinanza alla definizione di moneta elettronica ai sensi della EMD2 (direttiva 2010/110/UE), al fine di creare una cornice normativa condivisa per tutti gli stablecoins che non si distinguano dalla moneta elettronica.

In estrema sintesi, esulano dunque dal MiCA: (i) gli strumenti finanziari (come definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 15, della direttiva 2014/65/UE); (ii) la moneta elettronica (come definita all’articolo 2, punto 2), della direttiva 2009/110/CE, ad eccezione dei casi in cui si qualificano come gettoni di moneta elettronica ai sensi del presente regolamento); (iii) i depositi (come definiti all’articolo 2, paragrafo 1, punto 3, della direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio 49); (iv) i depositi strutturati (come definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 43, della direttiva 2014/65/UE; (v) la cartolarizzazione (come definita all’articolo 2, punto 1, del regolamento (UE) 2017/2402 del Parlamento europeo e del Consiglio 50).

Anche relativamente al piano soggettivo, si ricorre a una tecnica per negazione: la disciplina si applica a tutti gli emittenti e ai prestatori di servizi in cripto-attività, con espressa esclusione della Banca Centrale Europea e delle banche centrali statali che agiscano nell’esercizio dei propri poteri, della Banca Europea degli Investimenti, del Meccanismo europeo di stabilità e del Fondo europeo di stabilità finanziaria, delle organizzazioni internazionali, nonché, in parte e con specifiche precisazioni, gli istituti di credito e le società di investimento, delle imprese di assicurazione e riassicurazione nello svolgimento delle attività previste dalla Direttiva 2009/138/EC; dei liquidatori o degli amministratori straordinari nello svolgimento delle attività di liquidazione per i quali sono stati nominati, nonché dei soggetti che svolgono servizi in cripto-attività a favore di società collegate.

Nella sostanza, la regolamentazione riguarda gli emittenti di «asset referenced tokens» e di «e-money tokens» e i crypto-asset service provider (i “CASP”), riferendosi a qualsiasi soggetto che fornisca servizi cripto-asset a terzi su base professionale e, dunque, con definizione più ampia di quella di virtual asset service provider (i “VASP”) del GAFI, al fine di garantire che il MiCA si applichi alla maggior parte delle società di crittografia e che sia a prova di futuro contro nicchie di mercato ancora inesistenti. In generale, il fine è quello di riconoscere agli operatori autorizzati una sorta di passaporto UE che consenta loro di fornire i loro servizi in tutta l’UE, attraverso prerequisiti diversi e crescenti in rapporto alle dimensioni e al rischio associato ai servizi.

Con specifico riferimento all’emissione di utility token, aperta anche all’ammissione alle negoziazioni su piattaforme, il legislatore europeo elabora una disciplina caratterizzata essenzialmente dai profili informativi e sollecitatori, allo scopo di assicurare la disclosure in sede di offerta e di promozione. Similmente a quanto previsto per i player finanziari tradizionali, che devono emettere un prospetto per i titoli al pubblico, gli emittenti di tutti i cripto-asset MiCA dovranno pubblicare preliminarmente un white paper, contenente le informazioni fondamentali sulle caratteristiche, i diritti e gli obblighi, la tecnologia e il progetto sottostante. Il white paper dovrà essere condiviso con le autorità almeno venti giorni prima della pubblicazione e sarà rimesso agli Stati membri di garantire che gli emittenti cripto-asset siano responsabili, ai sensi della loro legislazione nazionale, delle informazioni ivi contenute, garantendo in ogni caso la possibilità di recesso. Considerati poi i rischi e la complessità intrinseci nei titoli DLT, gli emittenti dovranno dotarsi di sistemi di sicurezza informatica idonei a salvaguardare i fondi degli investitori, pena la possibilità di sospendere l’offerta.

Il white paper non è, tuttavia, soggetto ad approvazione e se l’offerta reca caratteristiche che non ne impongono la pubblicazione [ossia se: (i) si rivolge solo a investitori qualificati o a meno di 150 investitori per Stato membro; (ii) non supera 1 milione di Euro (1,17 milioni di USD) in 12 mesi; (ii) fornisce gratuitamente crypto-assets, in altre parole “airdrops” (a meno che i destinatari non debbano fornire dati personali o che l’emittente non ottenga commissioni o benefici da altri soggetti); (iii) rilascia premi per l’estrazione mineraria; (iv) emette cripto-asset già disponibili in precedenza nell’UE (esclusi gli stablecoin)] diventa non necessario.

Operando una scelta diversa da quella prospettata dalla Consob nel citato “Rapporto finale” di gennaio 2020, che proponeva il ricorso a “piattaforme dedicate e vigilate dalla Consob” e dotate di una serie di requisiti (Fonte: www.consob.it/documents/46180/46181/ICOs_rapp_fin_20200102.pdf/70466207-edb2-4b0f-ac35-dd8449a4baf1), analogamente a quanto previsto per il crowdfunding; le scelte della Commissione UE sembrano tenere maggiormente in considerazione le caratteristiche ricorrenti di offerta e di collocamento da parte degli emittenti di crypto-asset, i quali tendono a operare in via diretta, senza interventi da parte di soggetti terzi. Non è detto, tuttavia – e ferma sempre la concreta applicabilità della disciplina prospettata da Consob, tutta da verificare –, che nel tempo il tecnicismo elevato non finisca per a imporre anche qui il ricorso a operatori specializzati, soggetti a un regime autorizzativo e di vigilanza.

Diversa soluzione è, invece, riscontrabile in ordine al regime dell’emissione o dell’ammissione alla negoziazione di stablecoin, che, salvo specifiche esenzioni, si pone come un vero e proprio regime soggetto ad autorizzazioni preventive, con un sindacato che legittima il rifiuto dell’autorizzazione per l’ipotesi in cui il business model dell’emittente rappresenti una minaccia alla stabilità finanziaria o metta in discussione i principi di sovranità delle monete aventi corso legale.
In generale, la disciplina degli emittenti di ART è leggermente più rigorosa di quella degli EMT, probabilmente in conseguenza del fatto che il valore degli EMT dipende esclusivamente dal valore di una singola moneta avente corso legale.

È interessante notare come sia espressamente richiesto il preventivo rilascio di un parere da parte di uno studio legale circa il fatto che gli ART offerti non si qualifichino come strumenti finanziari, moneta elettronica, depositi o depositi strutturati, con ciò sostanzialmente trasferendo su soggetti privati la verifica della natura dei token, senza che peraltro sia chiaro, allo stato, se il predetto parere – che invece non è richiesto in caso di rilascio di token diversi – arrivi al punto di esonerare l’attività di controllo dell’Autorità regolatoria preposta.

Certamente rafforzati appaiono gli obblighi informativi, rispetto ai quali è stabilito, ad esempio, che nel white paper sia riservato spazio agli accordi di governance dell’emittente, a una descrizione dettagliata delle riserve di asset sui quali si basa il valore degli ART emessi e sulla loro custodia o sulla loro eventuale politica di investimento nonché ai diritti che i detentori di ART potrebbero esercitare nei confronti degli stessi.

Da notare, poi, l’obbligo per l’offerente di redigere un vero e proprio piano di liquidazione per l’ipotesi in cui si debba procedere alla vendita degli asset allocati nelle riserve al fine di risarcire i detentori di ART; norma, questa, che tiene evidentemente conto dell’esigenza di scongiurare i rischi derivanti dall’eventuale irreperibilità del soggetto responsabile della custodia di determinate cripto-attività e dalla perdita irreversibile delle stesse.

I Titoli VI e VII, da ultimo, sono dedicati rispettivamente (i) alla prevenzione dei possibili abusi di mercato in riferimento alle negoziazioni di cripto-attività, con soluzioni che ricalcano nella sostanza le fattispecie tipiche del market abuse (quali, ad esempio, la disciplina delle informazioni privilegiate, divieto di insider trading); e (ii) ai poteri e ai compiti delle autorità competenti a livello nazionale e dei loro rapporti con EBA ed ESMA; nonché alle attività di supervisione attribuite a queste ultime sugli ART e gli EMT rilevanti e sui rispettivi emittenti.

Conclusioni

Ferma l’assenza di ogni pretesa a voler esprimere un giudizio di valore sulla Proposta fin qui sinteticamente descritta, pare indubbio che il MiCA, anche nella anticipata opzione di regolamento UE invece che di direttiva (operata invece, ad esempio, per i servizi finanziari e per la normativa antiriciclaggio), si muova nel dichiarato intento di ovviare a frammentati regimi legislativi nazionali, attraverso una struttura normativa euro-unitaria, sotto la quale sviluppare politiche cripto-neutrali idonee a mettere opportunamente al centro il valore delle tecnologie sottese e, in generale, dei processi di digitalizzazione, nella consapevolezza della centralità (prima di tutto) economico – finanziaria di siffatte tematiche. Non a caso, il 30 settembre scorso, a pochi giorni dall’adozione del Digital Financial Package, gli Stati Uniti approvavano a loro volta una proposta di legge denominata “Consumer Safety Technology Act”, che contiene in se anche le altre due proposte di regolamentazione di cripto e blockchain, chiamate “Digital Taxonomy Act” e “Blockchain Innovation Act” e che si focalizza, in estrema sintesi, sulla protezione dei consumatori verso truffe e frodi che avrebbero popolato il mondo cripto e, più in generale, sulle misure funzionali a promuovere l’uso della blockchain da parte delle istituzioni governative e delle autorità di regolamentazione nella lotta contro le frodi.

Il dubbio che il Proposal sia all’altezza dei suoi obiettivi e delle aspettative ingenerate resta, tuttavia, aperto. Già la scelta di normare per esclusione appare poco rassicurante sul fronte della certezza del diritto. A ciò si aggiunga l’incognita – in parte fisiologica, ma accentuata dalle tempistiche di entrata in vigore della normativa, annunciate per il 2024 – che il MiCA e, più in generale, il pacchetto di riforme possa fin da subito o, comunque, continuamente dover fare i conti con i rapidi e soprattutto inarrestabili progressi delle tecnologie DLT e dei cripto-asset, che hanno portato all’ingresso sul mercato di fenomeni come la finanza decentralizzata (la “DeFi”) e gli scambi decentralizzati e che sembrano anch’essi destinati a influire in modo radicale sui possibili modelli di finanziamento delle imprese. La loro assenza dal perimetro normativo esaminato si prospetta già come una possibile lacuna, che si auspica possa essere colmata di qui alla definitiva approvazione del testo del regolamento, anche al fine di evitare l’aprirsi di nuove e ulteriori zone grigie in aggiunta a quelle (pur diverse) che la normativa vorrebbe colmare o, comunque, che l’imporsi di soluzioni semplicistiche di divieto per i servizi offerti da operatori a struttura diffusa.

Martina Granatiero